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Versus: Maggio-Pellissier, perché quando il vino è buono non invecchia, migliora

Quarto numero di “Versus”, il duello di questa settimana è dedicato a due giocatori che nonostante la carta d’identità non fanno mai mancare il loro supporto.

 

 

Il vino buono, quello veramente buono, lo tieni stipato in cantina, te ne prendi cura, lo dosi con attenzione perché venga bevuto solo in occasioni speciali ed assaggiato da chi ne può capire il valore. E si sa, il vino più invecchia, più diventa buono se buone, di base, sono le sue qualità. Napoli e Chievo Verona si affronteranno domani al Bentegodi e protagonisti, forse, saranno anche Christian Maggio e Sergio Pellissier, due giocatori diventati ormai bandiere dei loro club e non solo per la permanenza, lunga, con le rispettive squadre, ma anche per l’esperienza accumulata in tanti anni e per il loro stare lì, al loro posto, senza reclamare mai. Aspettando il momento di poter tornare in tavola a compiacere gli invitati con le loro note di sapore, magari non più forti e accese come un vino novello, ma dedicate a palati fini. Come vini d’annata.

IL SUPERBIKE VICENTINO – Esterno destro d’altri tempi, fatto di corsa, intensità, “garra” e tanta attenzione, Christian Maggio da Montecchio Maggiore sembra la perfetta fusione tra il “Cagnone” Baslini e “Poldo” Galilei, i due terzini ritratti dalla fantastica penna di Stefano Benni. Il primo, rognoso, diligente, attento in difesa e a non lasciare la sua metà campo. Il secondo invece elegante, rivoluzionario, voglioso di varcare quel confine e gettarsi all’attacco e all’avventura. La carriera di Maggio può riassumersi nella sintesi tra queste due figure, tra la formazione difensiva degli anni di Vicenza, Fiorentina e Treviso e la ribalta all’attacco come esterno nel 3-5-2 di Mazzarri alla Sampdoria e di Reja al Napoli. Curioso come Napoli rappresenti un “turning point” per il terzino veneto: la sua prima rete fu segnata, ai tempi di Vicenza, proprio contro gli azzurri, in Serie B e l’allenatore che lo lanciò nel mondo del calcio, proprio a Vicenza, risponde al nome di Edy Reja, proprio il tecnico che lo allenerà all’inizio della sua avventura in azzurro.

In 10 stagioni in azzurro ha collezionato 293 presenze, primo giocatore italiano con la maglia del Napoli per presenze europee e secondo assoluto dopo Hamsik, vinti tutti i trofei in carriera (2 Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana), conquistato la Nazionale (un argento Europeo nel 2012 ed un bronzo in Confederations Cup nel 2013) e, soprattutto, ha guadagnato il rispetto di tutti, tifosi, dirigenza, colleghi, allenatori e non addetti ai lavori che hanno sempre visto in “Superbike” un uomo su cui contare e fare affidamento. Ora è a un nuovo capitolo della sua carriera, ha avuto la possibilità di dire basta alla maglia azzurra, ma è sempre rimasto e l’infortunio di Ghoulam, in attesa di conoscere se Mario Rui sarà pronto oppure no, per Maggio potrebbero nuovamente aprirsi spazi in campo. Se non sarà così, sapremo, in ogni caso, che lui sarà lì, sempre pronto a dare il massimo quando verrà chiamato in causa. Come ha sempre fatto.

LA FRECCIA VALDOSTANA – Se cercato il simbolo dell’attaccante sopravvalutato e lo cercate su un dizionario, probabilmente ci sarà la foto (o almeno una menzione) di Sergio Pellissier. Valdostano per parte di padre (da cui, ovviamente, il cognome che in francese significa “pellicciaio”) e sardo da parte di madre, inizia la sua carriera nel Torino nella stagione 1996/97. In vent’anni di calcio il suo nome, se per nulla ricordato a Torino, sicuramente ha lasciato un segno a Varese o alla Spal, ma sicuramente sarà indissolubilmente legato a quello del Chievo Verona. Con i clivensi ha vissuto di tutto, dalla retrocessione nel 2006/07, alla vittoria del campionato di B nella stagione successiva; dal debutto in Europa League al primo gol in Serie A nel 2002/03; fino al debutto in Champions ed ai record che sono, al momento, l’unico vero trofeo che Pellissier si porterà a fine carriera. Ma come si fa a spiegare che una medaglia in più o in meno conta poco o niente quando si è ormai il simbolo di una tifoseria, di una squadra, di una società? Poco conta per Sergio, perché nel frattempo con la maglia del Chievo è primatista di presenze e primo marcatore in Serie A (e secondo in assoluto) oltre che terzo miglior marcatore nella Storia della Serie A tra quelli ancora in attività.

Capitano anche se in panchina, protagonista di video di culto in cui tifosi del Chievo (e non) mettono l’attaccante di Aosta al confronto di Aguero, per dirne uno, forte di testa, con entrambi i piedi, dotato di qualità di inserimento, di tempestività e fiuto del gol, Pellissier ha davvero dato negli anni l’impressione di essere molto di più, costretto in una realtà più piccola di quanto avrebbe potuto ottenere se avesse avuto diverse opportunità. Ma al cuor non si comanda, così, se lo zenit della carriera della freccia valdostana si può comprendere in quei pochi mesi del 2009, dalla tripletta alla Juventus fino alla prima (ed unica) convocazione in nazionale (con gol, contro l’Irlanda del Nord), la naturale prosecuzione del “mito” di uno dei migliori “bomber di provincia” si è avuta lo scorso 22 ottobre. Derby contro il Verona, 2-2, al 62′ al Marco Antonio Bentegodi si alzano tutti in piedi perché entra Pellissier. Non penso ci sia bisogno di dire com’è andata a finire.

Non mollare mai, fino all’ultimo, se credi in quello che fai e ne sarà valsa la pena. Sicuramente Maggio e Pellissier, dall’alto dei loro 35 e 38 anni hanno la fase d’oro delle loro carriere alle spalle e, magari, guardandosi indietro non potranno vedere bacheche cosparse di trofei, ma di certo potranno dire di essere stati uomini veri al servizio di una causa, rispettati da tutto l’ambiente, da tutto il movimento. E, sinceramente, ancora protagonisti, magari non tutte le settimane, un po’ alla volta, per le occasioni speciali. Come un buon, vecchio vino d’annata.

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