Napoli, perché scricchiola la macchina di Conte: mercato “pesante”, infortuni e un gioco che non decolla
Il ko di Bologna ha tolto il velo sulle crepe: il Napoli è inciampato per la terza volta in campionato e la quinta complessiva tra Serie A e Champions League, nelle prime 15 partite stagionali. Al Dall’Ara la squadra di Italiano ha vinto 2-0 (Dallinga e Lucumí), con gli azzurri incapaci di reagire: Conte nel post gara ha parlato di “preoccupazione” e di un’energia cambiata rispetto alla scorsa stagione, segnando uno spartiacque anche comunicativo. Non è solo una questione di risultati: è l’insieme di fattori tecnici, fisici e tattici che sta comprimendo la competitività della capolista uscente.
Tanti volti nuovi (e pesanti) da integrare
Il Napoli ha affrontato un’estate di trasformazione, con un mercato – in teoria – di alto profilo che ha portato in dote nomi ingombranti e un monte-minuti da ridistribuire: tra gli innesti di maggior rilievo spicca Kevin De Bruyne, arrivato per alzare il tasso di creatività e leadership, oltre ad altri rinforzi in più reparti (punta, corsie, difesa). L’ampiezza del restyling è fotografata anche dai numeri economici: spese consistenti e cessioni importanti, con un saldo sostanzialmente in attivo, ma — soprattutto — con l’obbligo di costruire in fretta una nuova gerarchia tecnica. Questa ricomposizione, tipicamente, richiede mesi di lavoro sul campo: automatismi, linee di passaggio, tempi di pressione e “pesi specifici” nello spogliatoio non si improvvisano.
L’effetto collaterale? Un’identità offensiva ancora intermittente. A Bologna, per esempio, non ci sono state palle gol nitide: un segnale del fatto che il volume di chance create non è ancora in ritmo con le ambizioni.
Emergenza infortuni e gestione delle energie
Se integrare tanti acquisti è complesso, farlo in piena emergenza fisica è quasi una missione. Il caso simbolo è De Bruyne: lesione al bicipite femorale e stop lungo, tema che priva Conte del principale rifinitore tra le linee proprio mentre si cercano nuove connessioni avanti. Attorno al belga, nelle ultime settimane si è allungata una lista di acciaccati/assenti in più reparti (tra cui elementi cardine del fronte offensivo e del motore di centrocampo), con l’allenatore che aveva già segnalato il problema dopo la gara con l’Inter. Quando ruoti tanti uomini e perdi continuità di scelta, scendono la qualità del primo passaggio, l’altezza del baricentro e la precisione nei riferimenti difensivi.
Già in precedenza, nel pre-campionato, il Napoli aveva perso Romelu Lukaku, l’altro faro tecnico del gioco offensivo contiano. Su questi due giocatori, l’allenatore aveva sostanzialmente basato la maggior parte del progetto tecnico. A turno, poi, si sono fatti male i vari Lobotka, Gilmour, Rrahmani, Spinazzola, Neres, Meret, Hojlund e non solo, con la preparazione estiva finita inevitabilmente nell’occhio del ciclone.
L’effetto domino è evidente anche in Europa: il pari interno con l’Eintracht ha lasciato Napoli in una posizione di classifica complicata, con un gruzzolo punti non ancora rassicurante. Non è allarme rosso ma il margine d’errore si assottiglia e ogni rotazione forzata pesa doppio.
Un impianto di gioco in cerca di scintilla
Conte lo ha detto con crudezza nel post Bologna: “Sono preoccupato, non c’è più l’energia positiva”. E il campo lo conferma: la squadra esegue, palleggia, ci prova ma raramente domina. La riaggressione è meno feroce, le uscite palla a terra non sono sempre pulite, e il blocco medio-basso concede troppi metri tra i reparti. Ne deriva una minor capacità di schiacciare l’avversario: quando non recuperi alto, sei costretto a transizioni lunghe e a corse all’indietro che, con tanti impegni e infortuni, si pagano nel finale di gara. A Bologna, dopo l’1-0, la partita è scivolata via senza un assedio vero, con i padroni di casa capaci di gestire l’inerzia e colpire di nuovo.
In Champions, dove il livello del dettaglio decide, un possesso più piatto si traduce in meno rifiniture tra le linee e più cross prevedibili: il pari con l’Eintracht è lo specchio di una manovra che fatica a “spaccare” difese preparate.
Dove si decide la svolta
Gerarchie chiare e pressing coordinato: servono scelte nette sui partner offensivi e sulle catene laterali: chi attacca la profondità, chi viene incontro, chi occupa stabilmente il mezzo spazio. Senza questa mappa, il pressing resta scomposto e la squadra si allunga.
Ritrovare ritmo e talento tra le linee: in attesa del rientro dei big, Conte può aumentare il volume di conduzioni centrali e combinazioni rapide (uno-due sul corto, terzo uomo), togliendo prevedibilità ai cross. Piccoli tweak — mezzali più aggressive tra le linee, terzino dentro al campo per creare superiorità — possono riaccendere l’area creativa orfana di De Bruyne.
Palle inattive e dettagli difensivi: con partite più “bloccate”, capitalizzare corner e punizioni diventa cruciale: blocchi, corse a tornare e occupazione dell’area vanno oliati. Dietro, attenzione agli “half spaces”: i gol presi nascono spesso da secondi palloni non puliti o da ritardi negli scivolamenti.
Gestione degli uomini: il calendario non aspetta: tra campionato e coppe, la distribuzione dei minuti sugli attaccanti e sui mediani (soprattutto chi corre tanto) dev’essere chirurgica. Qui rientrano anche le scelte infrasettimanali per proteggere chi rientra da infortunio.
Cosa guardare adesso
Il contesto in campionato è ancora cortissimo: la classifica di serie a dice chiaramente che pochi punti separano le prime posizioni e una mini-serie positiva può ribaltare le percezioni. Sul fronte europeo, invece, ogni gara pesa: tenere d’occhio il prossimo risultato Napoli in Champions – quello che maturerà dalla già delicata gara contro il Qarabag – aiuterà a capire se l’inerzia sta cambiando anche fuori dai confini.
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