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Addio Fair Play Finanziario, e grazie per tutti gli “Scudetti del bilancio”

ceferin

Finisce l’era del Fair Play Finanziario, addio all’obbligo del pareggio di bilancio ed alla grande menzogna di un calcio più giusto.

 

Era il 2011 quando, per invenzione e iniziativa di Michel Platini (allora presidente UEFA), entrò in vigore il Fair Play Finanziario, un progetto che mirava a far estinguere i debiti contratti dalle società di calcio ed indurle ad un sostentamento finanziario autonomo nel lungo periodo. Urla di giubilo della folla, presidenti che si stringevano la mano, spumantino economico da stappare perché finalmente era arrivato lo strumento di controllo delle spese folli dei grandi club. Il criterio era semplice: estinzione dei debiti e pareggio di bilancio. Che significa sostanzialmente spendere quanto guadagni, non un centesimo di più, sennò vai in rosso e ti sanzioniamo. E non vale rimpolpare i conti con finanziamenti esterni, no: alle spese di mercato e stipendi si rimedia con ricavi cosiddetti “genuini”, cioè con biglietteria, diritti tv e sponsor. Pensate che rivoluzione, non sarebbe stato più consentito ai grandi club europei di spendere e spandere senza conseguenze, finalmente uno strumento in mano a società e dirigenze virtuose per poter sperare almeno di competere.

Poi a qualcuno è cominciato a prudere il naso. Perché i top club hanno continuato a spendere senza ritegno. Campagne acquisti faraoniche anno dopo anno e tutti a chiedersi: “oh, ma ‘ste sanzioni?”. Eh no, perché il Fair Play Finanziario valuta i tre anni precedenti. E poi il PSG si è fatto una nuova sponsorizzazione da 175 miliardi dall’Ente del Turismo del Qatar. Ed il Manchester City ha patteggiato una multa con gli spicci trovati nelle tasche dei pantaloni. Eccetera. Eccetera. Eccetera. E noi qui. A roderci il fegato. Perché ci siamo accorti che alla fine il divario economico aumentava stagione dopo stagione, con i club ricchi sempre più ricchi ed i club poveri sempre più poveri. Perché una soluzione per i grandi, quelli che privilegiati lo sono sempre stati, si è sempre riusciti a trovarla mentre altri di cui evidentemente si poteva fare a meno perché “poco mainstream” sono stati sacrificati all’altare dei conti in regola.

Ed il prurito si è diffuso, rivelando sfoghi per nulla nuovi sull’epidermide del calcio europeo. Perché questa favoletta del Fair Play Finanziario, di un calcio più equo e più giusto, ce l’hanno raccontata fino allo sfinimento per dieci anni. Dieci anni in cui, nonostante tutto, ci abbiamo sperato che succedesse qualcosa, che dicessero al City, al PSG, al Barcellona, al Real Madrid: “no, ragazzi, ora basta. O pagate o vi blocchiamo tutto”. Ci abbiamo sperato davvero. E ci hanno osannato sui giornali dicendo: “tale club ha vinto lo scudetto del bilancio”, quando in realtà non ha vinto proprio un bel niente se non l’ennesima presa per i fondelli.

Lo scudetto del bilancio. Vi suona familiare? Sono anni che il Napoli lo vince. Perché sono anni che il Napoli si barcamena in tutti i modi per tenere i conti in regola. Sacrificando le coppe, ad esempio, per raggiungere un posto valido ad entrare nella “sala del trono” e prendersi una fetta di quella enorme torta della Champions League. Oppure mettendo clausole di rescissione ai propri campioni per non avere scrupoli di coscienza e venderli quando arriva il momento. Oppure, ancora, rompendo con tizio o caio per un aumento di stipendio non concesso in virtù “del pareggio di bilancio”. Quanti giocatori di livello superiore avrebbe potuto comprare il Napoli in questi anni se non ci fosse stato lo spettro, l’obbligo, di chiudere in positivo ogni singola stagione? Esattamente, adesso, di tutti questi “scudetti del bilancio” che cosa ce ne facciamo?  Ce ne vantiamo come fa la Juventus con quelli revocati? Ne facciamo gigantografie da esporre fuori dalla sede dell’UEFA con una bella scritta: “grazie della fregatura”?

Doveva essere uno strumento di tutela per i club, di aiuto alla sostenibilità del calcio. E’ stato un bluff che ha finito col punire chi non poteva permettersi santi in paradiso. Ora è finita anche la semplice illusione, perché la UEFA ha annunciato che non si avrà più l’obbligo di rispettare il pareggio di bilancio dopo che la pandemia Covid ha spazzato via le certezze del movimento calcistico internazionale, stringendo ancora di più il cappio attorno a società già indebitate ed in difficoltà. Anno zero, si ricomincia da capo.

E forse da una parte è meglio così, almeno non avremo più la sensazione di essere presi in giro da prospettive di correttezza. Magari verranno misure diverse, più rigide sotto certi aspetti (come il livellamento degli stipendi, limitazione ai prezzi dei cartellini, il sistema di salary cap che tanto ha dato alla NBA). Oppure nulla, si lasceranno i rubinetti aperti ai grandi investitori per non turbare la suscettibilità dei top club europei, pronti sempre a giocare la carta della Superlega con cui tengono in scacco il mondo del calcio.

Insomma, grazie. E per parafrasare l’indimenticabile Kirk Van Houten: “Dopo dieci anni finisce così? Addio e buona fortuna?”.
Conosciamo già la risposta della UEFA: “Io non ho detto buona fortuna”.

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