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Arbitri e VAR, quanta confusione: direttive non chiare e poca qualità

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Gli arbitri di Serie A in palese confusione nonostante l’aiuto della tecnologia in campo. Ecco quanto riporta Edmondo Pinna del CorSport.

 

 

Lunedì mattina, un bar qualsiasi, davanti al caffè post-campionato, dove si racconta e si rivive di tutto, una frase suona stridente: «Ma così a che serve la tecnologia? Se poi al VAR non ci vanno, allora meglio come era prima». Non lo pensa uno solo, lo cominciano a pensare in tanti. Ma il problema non è il VAR (inteso come strumento in auto – e non contro – gli arbitri) che invece è il futuro e del quale non si può fare a meno, ma tutto quello che gli gira intorno, che lo fa (o dovrebbe far) funzionare. Ed ogni giorno che passa, ogni campionato che si avvicenda, il problema della scarsa qualità dei nostri direttori di gara si fa non solo palese ma addirittura predominante. Chi li guida tecnicamente (politicamente lasciamo perdere) deve spesso fare buon viso a cattivo gioco. Prendete Guida, adesso. L’arbitro peggiore dell’ultima giornata di campionato: un rigore non dato (alla Lazio), un’azione gol viziata da un fallo su Sottil, polemiche a non finire. Eppure, la Commissione Arbitri della serie A non l’avrebbe bocciato in toto, tanto che non sarebbe in procinto di finire dietro la lavagna (leggi, stop tecnico). La motivazione sarebbe forse peggio di quanto ha fatto vedere in campo l’arbitro campano: tutto sommato il rigore negato non ha influito sul risultato finale (la Lazio ha vinto comunque), il contatto Lukaku-Sottil fa parte della valutazione, non può essere catalogato come un errore chiaro. Il rigore assegnato per la “parata” di Ranieri è corretto, così come il secondo giallo. Capito? E questo perché Guida, che ultimamente aveva fatto bene, è uno di quegli arbitri che deve garantire la funzionalità del sistema.

A Nicola Rizzoli, gli arbitri, servono tutti. Fossero, poi, come Rocchi e Orsato, il designatore potrebbe ritirarsi nel suo studio di architetto. Invece non lo sono. Ogni domenica, gli errori dei “fischietti” di casa nostra sono molti e quasi tutti facilmente risolvibili con l’aiuto del VAR. L’ultima giornata è esemplificativa: un rigore non dato all’Inter (fallo su Biraghi che al monitor sarebbe stato facilmente rilevabile); uno non dato al Bologna (anche qui, che ci voleva?); uno al Cagliari (le immagini sono sotto gli occhi di tutti); uno alla Lazio (clamorosa la spinta di Caceres su Sottil), che poi ha “beneficiato” di una svista sul contatto Lukaku-Sottil. Dunque, ci voleva tanto per dire all’arbitro: «Guarda, scusa, vai a rivedere». Invece c’è una sorta di omertà di categoria, come se ci si spalleggiasse l’uno con l’altro per evitare la “gogna” del monitor. E tranne pochi casi, qualsiasi cosa va bene per «supportare» (si dice così) la decisione di chi è in cam po. Colpa, anche, di indicazioni non sempre chiare, anzi, spesso in contrapposizione fra loro (leggi alla voce: falli di mano).

Il mondo arbitrale di vertice risente della crisi che sta attanagliando l’intera Associazione Italiana Arbitri. Colpa di una politica che non ha dato i frutti attesi, Marcello Nicchi è in carica dal 2009 ma durante la sua gestione non sono arrivati arbitri in grado di garantire un adeguato ricambio al vertice (sono andati via Rizzoli, andrà via Rocchi a fine campionato e fra una stagione anche Orsato, salvo deroga). Non solo, ma anche il numero degli associati (tutti compresi, anche gli ex arbitri, che sono la maggior parte) è calato drasticamente: da 34.701 al 30 giugno del 2015 a 30.180 lo scorso fine giugno, con la cifra attuale che avrebbe sfondato la soglia dei trentamila. Con poca scelta alla base, ovviamente al vertice arriva quello che c’è. Si vede, purtroppo.

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