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O Capitano, mio Capitano. Quanto pesa quella fascia se hai il sangue azzurro?

tifosi napoli curva b

Da Egidio Di Costanzo fino a Lorenzo Insigne, passando per la leggenda di Totonno Juliano, la terribile difficoltà di essere profeta in patria azzurra.

 

 

C’è un uomo in mezzo al campo. Uno solo, tra i 22 che hanno smesso la pettorina e che stanno giocando a calcio. Uno solo, tra gli 11 che indossano la maglia azzurra.Uno solo, tra quegli undici in maglia azzurra, che indossa la fascia da capitano. Ed è un caso (o meglio, spesso lo è) che si anche quello che vive quella maglia azzurra, quella fascia addosso, come un’occasione unica, un regalo del fato, del destino, di quello che vi pare. Perché quell’uno è napoletano. Ed indossare la maglia del Napoli è stato il sogno di tutta la sua vita. Ed ora che è anche il capitano della squadra che più ama al mondo, non c’è punto più alto a cui potrebbe aspirare.

Eppure.

Eppure non sempre questo amore è ricambiato. A volte si diventa leggende, altre volte invece si finisce con un enorme bersaglio dietro la schiena. Così, semplicemente perché lo stesso sangue scorre nelle vene. Non è dovere nostro stare qui a sviscerare la questione e scoprire perché questo succede. Né tantomeno fare la disanima di quante volte sia successo oppure no per trarne chissà quale insegnamento per il futuro. Si valuta semplicemente un dato di fatto: essere profeta in patria non è facile.

I capitani del Napoli, dal 1926 ad oggi, sono 27. Tra questi, nove sono stati napoletani o, comunque, campani e non sempre la loro vita come punti di riferimento della squadra del loro cuore è stata rose e fiori.

Egidio Di Costanzo (1941/43 – 45/51: 153 presenze, 7 gol) è stato il primo napoletano capitano del Napoli (quinto della sua storia). Cresciuto nelle giovanili azzurre, ha indossato la fascia per tre stagioni (dal 1948 al 1951), al termine dell’ultima si trasferì allo Stabia, in Serie B, per poi chiudere cinque anni dopo la propria carriera alla Turris. Nella stagione ’68/’69 tornò a Napoli da allenatore, subentrando a Giuseppe Chiapparella, ma dopo sole nove partite, venne sostituito proprio dal suo predecessore.

Antonio Juliano (1962/78: 505 presenze, 38 gol) è un nome che tutti i tifosi del Napoli imparano a conoscere fin da ragazzini, quando ascoltano i racconti dei genitori o dei nonni. La figura di “Totonno” è leggendaria, perno del Napoli di Vinicio che Gianni Brera ha incorniciato così: “Il suo gioco si fonda sulla regia di Juliano, al quale i devoti gregari portano palla con assoluta diligenza. Il Capitano Azzurro fornisce, anche se a flebile ritmo, prestazioni stupende”. Terzo giocatore con più presenze nella storia del Napoli in assoluto e in Serie A, campione d’Europa con la Nazionale Italiana nel 1968 e vicecampione del Mondo a Messico ’70, Juliano è forse la rappresentazione più bella di quel sogno chiamato Napoli per chi nasce in quel territorio che si allarga dalla pendici del Vesuvio fino al Mar Mediterraneo. Amato e ricordato ancora oggi, dopo 17 stagioni in azzurro (di cui 12 da capitano), terminò la sua carriera al Bologna, per poi tornare a Napoli da dirigente ed ha trovato il modo di segnare una volta di più il suo nome nella storia della società azzurra curando prima l’acquisto di Ruud Krool, poi quello dal Barcellona di un certo Diego Armando Maradona.

Giuseppe Bruscolotti (1972/88: 511 presenze, 11 gol) ha visto solo di recente il suo nome scendere al secondo posto nella classifica di presenze in azzurro. Solo Marek Hamsik è stato più presente di “Pal ‘e fierr” con la casacca del Napoli. Gladiatore, uomo e giocatore di altri tempi, è uno di quei campani (nativo di Sassano, in provincia di Salerno) amati dal pubblico napoletano. E non potrebbe essere altrimenti, dopo 16 stagioni in azzurro, di cui 5 da capitano, imperlate dalla vittoria del primo scudetto, di due Coppa Italia e di una Coppa di Lega italo-inglese. “Io porto la fascia da capitano ma il capitano del Napoli resterà sempre lui: Beppe Bruscolotti”, questo disse Diego Armando Maradona, quella sera del 10 maggio 1987, abbracciando un difensore che a 36 anni cedette la fascia a Diego strappandogli la promessa di coronare il sogno suo e di tutti i tifosi del Napoli. Prelevato dal Sorrento, resta in azzurro fino alla fine della sua carriera (1988) e, nell’immaginario collettivo dei tifosi azzurri, sarà sempre l’immagine del Capitano.

Ciro Ferrara (1984/94: 322 presenze, 15 gol), nato a Posillipo, ha iniziato la sua carriera da giocatore con il Napoli, esordendo in prima squadra nel 1984 e chiudendo 10 anni dopo con due scudetti vinti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana ed un Coppa UEFA. Ereditò la fascia di capitano da Maradona, lo stesso Maradona che gli servì, di testa, l’assist per il gol del momentaneo 2-1 nella finale di ritorno di Coppa Uefa contro lo Stoccarda (poi finita 3-3). Lo stesso Maradona che al termine di quella partita, lo abbracciò nascondendone il pianto di gioia alle telecamere e che, commentando il trionfo azzurro, stringendo Ferrara, disse: “Lui se lo merita più di tutti”. Ferrara lascerà Napoli nel 1994 assieme a Marcello Lippi, per approdare alla Juventus che ne consacrerà definitivamente il talento e la carriera e con cui si ritirerà dal calcio giocato. Motivi di bilancio, 9,4 miliardi di lire, per un Napoli che da lì a poco sarebbe affondato in Serie B su quella terribile china che lo portò al fallimento. Forse è per questo che il suo ritorno a Napoli da bianconero ha subito, nel tempo, la stessa parabola discendente. Da celebrato ad odiato nel corso degli anni, forse la consacrazione di Ferrara con la maglia degli odiati rivali, vista nel parallelismo con il crollo della società azzurra, ha contribuito allo scadimento della sua immagine nella memoria collettiva dei tifosi azzurri. E, forse, più in generale, allo scetticismo che ha circondato in futuro l’immagine del capitano napoletano in maglia azzurra.

Giuseppe Taglialatela (1990/91 – 93/99: 203 presenze, 257 gol subiti), nato a Ischia, si è trasferito al Napoli a 15 anni dall’Ischia Isolaverde e, dopo anni di prestito, sostituì Galli (trasferitosi al Torino) per diventare il portiere titolare degli azzurri negli anni ’90, fino alla retrocessione in B nel 1998. L’anno successivo, resta in azzurro ed indossa la fascia da capitano, per poi trasferirsi alla Fiorentina ed iniziare un tour che lo porterà, fino a fine carriera, ad indossare le maglie di Siena, Benevento ed Avellino. Pino “Batman” è sempre stato amato dalla tifoseria azzurra per il suo stile a volte spettacolare sia tra i pali che nelle uscite e, probabilmente, anche per aver seguito il Napoli nella sua drammatica retrocessione in B a fine anni ’90. Il suo passaggio alla Fiorentina (come vice di Toldo, per giocare la Champions League) non ha intaccato il suo ricordo.

Gennaro Scarlato (1996/00 – 04/05: 78 presenze, 4 gol), così come Taglialatela prima di lui, ha indossato solo per una stagione la fascia da capitano azzurro. Nato a Napoli, vince la Coppa Italia Primavera nella stagione ’96/’97 con gli azzurrini e viene subito notato da Boskov che lo considera uno dei giovani più promettenti a disposizione e lo tiene in azzurro nonostante il pressing del Chelsea. La fortuna però non gira dalla sua parte, dato che un brutto infortunio ne ritarda il debutto e, forse, ne mina la crescita. Tra prestiti e comproprietà, verrà acquistato dall’Udinese (e Ventura gli cambierà definitivamente il ruolo in difensore centrale) e in via definitiva dal Torino, che lo cederà infine alla Ternana nella stagione 2002/03. Nella stagione 2004/05 tornerà in prestito al Napoli nell’anno della rifondazione, in Serie C, con il nome di Napoli Soccer. Una sola stagione, da capitano, terminata con la sconfitta nella finale dei playoff promozione contro l’Avellino. I cattivi rapporti con Reja fanno sì che torni alla squadra di provenienza già nella stagione successiva.

Gennaro Iezzo (2005/11: 119 presenze, 96 gol subiti) è uno dei tanti prodotti della scuola di portieri di Castellammare di Stabia. Corona il sogno di giocare in azzurro a costo di un grande sacrificio: nel 2005/06 abbandona la Serie A ed il Cagliari per trasferirsi a Napoli, in Serie C. Con lui in porta la difesa azzurra si chiude: 18 gol in 32 partite e promozione in Serie B. Eredita la fascia di capitano l’anno successivo da Francesco Montervino e anche grazie a lui, il Napoli che sarà promosso in Serie A avrà la miglior difesa del torneo: 25 gol subiti in 39 partite, davanti anche alla Juventus. Pur essendo stato capitano solo in quella stagione, è protagonista della cavalcata del Napoli dalla Serie C all’Europa, debuttando in Intertoto nella stagione 2008/09 contro il Panionios. Soppiantato definitivamente da Morgan De Sanctis, chiuderà la carriera in azzurro alla scadenza del suo contratto nell’estate del 2011, chiudendo la carriera al Nola. Nonostante una sola stagione da capitano, Iezzo è sempre ricordato con affetto dalla tifoseria partenopea per la sua affidabilità al comando della difesa e per l’aver fatto parte, come già detto, del gruppo che ha segnato la rinascita del Napoli ed il ritorno degli azzurri nel calcio dei “grandi”.

Paolo Cannavaro (1998/99 – 06/14: 278 presenze, 9 gol) è uno dei capitani azzurri dal percorso più travagliato nel rapporto con la tifoseria, chiusosi però con un bel lieto fine. Nato a Napoli, percorre tutta la trafila nelle giovanili, esordendo in Serie B nella stagione 98/99 a 17 anni, ceduto la stagione successiva per 2 miliardi e mezzo di lire al Parma a causa dei problemi economici della società. Tornerà in azzurro nel 2006, in Serie B, lasciando la Serie A per coronare il suo sogno: “Voglio essere per il Napoli quello che Totti è per la Roma, una bandiera”. Otto stagioni in azzurro, sette da capitano, esordio europeo in Intertoto contro il Panionios e in Coppa Uefa contro il Villareal nella stagione 2008/09, poi in Champions contro il Manchester City in quella stagione 2011/12 che lo vede vincere la Coppa Italia da protagonista nella finale di Roma contro la Juventus. Lascerà l’azzurro nel 2014 per andare a Sassuolo, dopo che con Benitez gli spazi per lui si ridurranno drasticamente. Un dolore forte, intimo, che ti fa male anche fisicamente. Con quella maglia addosso vorresti dare sempre qualcosa in più. Ma non sempre ti riesce”, così commenterà anni dopo i momenti più duri della sua avventura in azzurro, quando il popolo napoletano scaglierà su di lui gran parte delle frustrazioni per i periodi di flessione della squadra. E’ un po’ il simbolo di questo atteggiamento che vede i capitani napoletani in maglia azzurra bersaglio delle critiche e delle delusioni della tifoseria, come se il fatto di essere napoletani sia un motivo sufficiente per diventare capro espiatorio. Tanti fischi, tante critiche, sopportate con dignità e silenzio, tramutati poi in supporto, sostegno ed applausi proprio grazie ad un atteggiamento integerrimo che ha visto Paolo concentrarsi sul campo, isolarsi dalle critiche e riprendere in mano la difesa e la squadra. Supporto che è stato totale nel momento in cui è stato coinvolto in un caso di calcioscommesse, sia nel momento della cessione al Sassuolo. L’amore ed il lieto fine della sua storia in azzurro si è mostrato in tutta la sua bellezza nell’applauso e nell’abbraccio al momento del ritorno, da avversario, al San Paolo con la maglia del Sassuolo.

Lorenzo Insigne (2009/10 – 2012/oggi: 300 presenze, 76 gol). Con il ragazzo di Frattamaggiore si chiude questa lunga carrellata nella storia dei capitani napoletani del Napoli. La storia di Insigne è, probabilmente, inutile riassumerla. Si tratta di presente, cronaca di oggi facilmente reperibile anche negli articoli presenti su 100×100 Napoli. Dopo anni in prestito, il prodotto della “Scugnizzeria” diventa perno della manovra offensiva del Napoli con cui vince una Coppa Italia ed una Supercoppa Italiana. Il suo talento si imprime negli occhi di tutta Europa dopo le prestazioni in Champions League con Maurizio Sarri prima e con Carlo Ancelotti oggi, finché eredita la fascia di capitano nella stagione corrente da Marek Hamsik, volato in Cina sulla corrente di tanti, tanti milioni di euro. Non sempre ineccepibile nell’atteggiamento, questo va riconosciuto, Insigne ha sempre sognato di vestire l’azzurro e vive la sua esperienza da capitano come il più grande onore della sua carriera da calciatore. Eppure, nonostante il talento (seppur discontinuo), nonostante la sua permanenza in azzurro, nonostante i gol ed il riconoscimento internazionale, l’atteggiamento di parte della tifoseria partenopea resta di diffidenza nei suoi confronti, a volte addirittura di ostilità. Sia con Sarri che con Ancelotti ha mostrato a volte apertamente insofferenza al momento di essere sostituito. Che questo poi alimenti, nel calcio moderno fatto di social e di sciacallaggio giornalistico, voci di trasferimenti dietro l’angolo di certo non aiuta. Ma davvero si tratta solo di insofferenza e voglia di partire? Perché non credere che un napoletano, vestendo la maglia della sua città, non sia semplicemente arrabbiato per essersi reso conto di non aver dato tutto. O che quel tutto non sia bastato in ogni caso?

Tutto può essere. E come detto in esordio, questo articolo non ha come obbiettivo quello di scovare il significato degli atteggiamenti dei tifosi, di criticarli o di farli cambiare. Così come ci si astiene dal cercare le motivazioni di Insigne o di chi l’ha preceduto. Che Lorenzo resti in azzurro nelle stagioni a venire, che diventi un simbolo, una bandiera, magari protagonista di trionfi è la speranza di tutti i tifosi del Napoli e questo va dato per assodato. Ma la storia ha dimostrato che più ci si avvicina al calcio moderno, più questo diventa complicato per una incredibile molteplicità di fattori (tra cui procuratori senza scrupoli come Mino Raiola) che potrebbero portare le strade di Insigne e del Napoli a separarsi. Ma di certo, non è un’opinione isolata quella di considerare un prodotto del vivaio, ancor di più quando è sotto il mirino di squadre dal portafoglio importante, una risorsa importante per una squadra come il Napoli. Una risorsa da tutelare, da coccolare nei limiti della concezione professionale e non da scartare o vessare di insulti alla prima giornata storta.

Nemo propheta in patria.

Non sempre questo è vero. Ma, ovviamente, come sempre, ai posteri l’ardua sentenza.

 

 

 

Fonte foto: Twitter Official SSC Napoli.

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