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Da Grava a Sarri: il Napoli tra sacro e profano

La squadra azzurra, così come la città, è perennemente su un’altalena che oscilla tra sacro e profano. Da quando Vinicio guidava gli azzurri nella speranza di conquistare il primo tricolore per i meno giovani, dai tempi in cui la città si fermava ogni sabato alle 16:00 alla ricerca di un posto in Serie A per le nuove generazioni. Da sempre hanno fatto parte del Napoli personaggi che hanno danzato sul sottile filo che separa due concetti solo all’apparenza antitetici: religiosità e scaramanzia. Da sempre i tifosi della squadra azzurra sono in gran parte i primi a salire su quest’altalena che culla un’intera città tra i due estremi di questa falsa dicotomia. Un fenomeno che parte dal cuore del territorio e contagia anche gli stranieri che passano da qui.

Storicamente sulla parete adiacente alle scalette che portano al prato del San Paolo sono presenti dei santini che per i credenti hanno la funzione di proteggere la squadra di casa. Il primo ad apparire fu quello raffigurante la Madonna di Pompei, posizionato lì negli anni ’70 da Saverio Vignati, allora custode del San Paolo. Successivamente fu Salvatore Carmando a volere San Gennaro nei primi anni del Napoli di Maradona. Dal 2008, c’è anche santo Gaetano Errico, patrono di Secondigliano. Non meno importante il santino che ritrae Padre Pio. Oggi ce ne sono molte di più, ognuna con una propria storia. Prima di ogni partita numerosi calciatori si sono affidati ai santi, baciandoli e facendo il segno della croce.

All’inizio del 2012 i santini furono rimossi dal loro posto dopo due partite deludenti contro Juventus e Roma. La squadra azzurra – coincidenza o meno – non vide migliorare il proprio rendimento ma iniziò anzi ad inanellare una serie di sfortunate prestazioni in campionato senza tornare alla vittoria. Numerosi membri della tifoseria partenopea chiesero che i santini tornassero al proprio posto, alcuni anche con uno striscione. Walter Mazzarri, allora allenatore del Napoli e puntuale nel rendere omaggio ai santi prima dell’ingresso in campo, si assunse la responsabilità dello spostamento delle immagini sacre spiegandosi così nella conferenza stampa precedente a Napoli-Chievo Verona del 13/02/2012: “Li abbiamo spostati nello spogliatoio perché sul muro li toccavano anche gli avversari e ne beneficiavano”. Da quella partita i santini tornarono al proprio posto e il Napoli centrò cinque vittorie consecutive.
 

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Facendo un rapido flashback, l’annata in Serie B è rimasta nel cuore dei napoletani. Tanti dei protagonisti dell’ultimo passaggio della risalita dalla C alla A hanno fatto la storia del club. Con i loro risultati sportivi, sono ancora oggi impressi nella memoria dei napoletani vari riti scaramantici e non, come il cerchio formato dalla squadra di Reja immediatamente prima del fischio d’inizio di ogni partita, accompagnato dall’“Olè” di tutto lo stadio e antecedente la corsa di Gennaro Iezzo verso la porta e i tre salti verso la traversa, anch’essi accompagnati dal San Paolo (clicca qui per il video). Tradizione andata avanti per tutto il periodo di Reja a Napoli. Proprio Iezzo, Grava e Calaio’ fecero un voto alla Madonna di Pompei in quella stagione in caso di promozione in A; a fine stagione raggiunsero in bici la Basilica Mariana partendo alle 4 da via Marina. Tornarono con il quadro della Madonna del Rosario benedetto dal Vescovo, aggiunto poi alle altre immagini sacre sulla storica parete.

In tempi più recenti, il primo Napoli di Benitez – annata ’13/’14 – accantonò dopo la brutta sconfitta dell’Emirates Stadium contro l’Arsenal la maglia camouflage che aveva diviso i tifosi e creato qualche grattacapo di matrice legale alla società. Queste le parole di Raul Albiol a riguardo:“La maglia mimetica? Dopo l’Arsenal non l’abbiamo più messa, per noi non fu una gara positiva. Ora usiamo la gialla che ci porta fortuna.” Quella stagione fu infatti contrassegnata da un frequente utilizzo della maglia gialla che accompagnò il Napoli da febbraio 2014 in poi anche nelle partite in casa. Anche Rafa Benitez disse la sua a riguardo: È normale e facile da comprendere: la scaramanzia qui è fondamentale. Visto che abbiamo avuto buoni risultati con la maglia gialla stiamo continuando ad utilizzarla e lo faremo finché porterà fortuna…”. L’anno scorso Gonzalo Higuain scattò selfie in aereo insieme ad Hamsik prima di diverse partite, tra cui la vittoria di Wolfsburg. Lo stesso argentino è solito entrare per ultimo in campo – usanza comune ad Ezequiel Lavezzi – compiendo spesso tre salti sul piede sinistro, rito tanto inusuale da avere per forza a che fare con la scaramanzia.

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Quest’anno è arrivato Maurizio Sarri sulla panchina del Napoli. Il tecnico toscano d’adozione ma nato a Bagnoli, è molto scaramantico e si dice lo fosse già in ufficio nella scelta delle cravatte. Da allenatore, come dichiarato da persone vicine a lui, tiene a non toccare il pallone, evita di passare sulle linee del campo, entra in campo sempre con lo stesso piede e, almeno nelle categorie minori, si sedeva sul gagliardetto della squadra avversaria. Destinato ad entrare nella storia della scaramanzia a Napoli il gesto compiuto da Sarri in conferenza stampa quando è stata nominata la parola “Scudetto” (clicca qui per vedere il video dell’episodio)

Ultima scelta scaramantica, in ordine di tempo, per ora è quella di Pepe Reina: lo spagnolo, solito scrivere in napoletano su Twitter, è molto legato a Napoli e dopo i risultati positivi conquistati nell’ultimo periodo, non ha alcuna intenzione di indossare una maglia diversa da quella gialla.

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Tra sacro e profano, la Napoli calcistica e non, sarà sempre contrassegnata da divertenti usanze e costumi che contribuiscono a renderla una città unica, capace di napoletanizzare anche spagnoli e sudamericani.

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