Editoriale

Guagliu’ se so’ arrubbat’ ‘o pallon’

La faccia sconsolata del più grandicello dei ragazzi che era andato a contrattare con il proprietario del balcone, cortile o giardino, nel quale era finito il pallone durante la partita, spiega tutto, senza bisogno di troppe chiacchiere.

Le parole sussurrate, scuotendo la testa, non lasciano speranze: “Guagliu’ se so’ arrubbat’ ‘o pallone”. Partita finita, game over si torna a casa.

Sarà capitato a tutti nella vita un’esperienza così, almeno a tutti quelli che hanno giocato a pallone per strada. Gli altri possono immaginare la frustrazione quando sul più bello sparisce il pallone. Ecco quello che sta accadendo al calcio, in generale in Italia, in particolare a Napoli.

“Se so’ arrubbat’ ‘o pallon’”. Campionato Spezzatino, ma non solo. Partite distribuite su più broadcasters, computer, telefonini, apparecchiature infernali. Per qualcuno il futuro, per tanti un rompicapo e anche costoso, molto costoso. I tifosi, che sostengono, di fatto e in modo inequivocabile, il sistema calcio, sia direttamente che indirettamente, come destinatari delle offerte pubblicitarie degli sponsors che foraggiano le pay Tv e, quindi, le società, sono sempre più confusi e preoccupati. Poi c’è Napoli, anzi il paradosso Napoli. La squadra vice campione d’Italia che annuncia di non poter dare seguito alla campagna abbonamenti, perché i lavori di ristrutturazione del San Paolo non hanno date né scadenze né, tantomeno, un programma definito e la società non può garantire il posto agli abbonati in mancanza di certezze.

Ai circa 6.000 abbonati dello scorso anno verrà riconosciuto il diritto di prelazione sull’acquisto in campionato e coppe. Seimila persone su, circa, cinquantamila che nella scorsa stagione, quella del sogno scudetto hanno deciso di investire sul Napoli. Tralasciando il dato sul numero esiguo di abbonati degli ultimi anni, nonostante i buoni risultati sportivi, e le tante polemiche sui prezzi superiori, rispetto all’acquisto del singolo biglietto, resta la profonda delusione degli affezionati. L’abbonamento è una tradizione che spesso si perpetua di padre in figlio. Molti tifosi hanno lo stesso posto da decenni, magari accanto ad amici con i quali condividono da sempre la fede azzurra. Non avere la possibilità di rinnovarlo è molto triste e deprimente. Ma tant’è nello sfascio del San Paolo e nella pessima gestione dell’impianto di è arrivati alla metà di agosto senza un cronoprogramma definito e preciso dei lavori.

Non è stata neppure bandita la gara per l’aggiudicazione dei lavori di sostituzione dei seggiolini ma in compenso si lavora, alacremente, alla pista di atletica che servirà solo tra 10 mesi. Stranezze e incongruenze alle quali non si fanno risposte. In questi anni il San Paolo è stato messo all centro di mille discorsi, progetti e propagande politiche, senza che, quasi, nulla venisse poi realizzato. Eppure nel suo ventre roseo e ora sgarrupato, si sono consumate emozioni che non puoi raccontare ma solo vivere o immaginare.

Un tempio laico dove si celebra il più sacro dei riti profani, stuprato dalle chiacchiere inutili, dalla cattiva gestione, da litigi infiniti che, come nelle antiche faide, non sai più chi ha iniziato per primo e dove sta la ragione. Sullo stadio hanno perso tutti, anche la faccia e non c’è più niente da difendere. Il conto alla fine lo pagano sempre i tifosi, cittadini, prima di tutto, costretti ad adattarsi all’indecenza. Su questo caos è, poi, calata il velo nero del dolore. La stagione 2018/19 inizierà nel giorno del lutto nazionale per la tragedia di Genova. Sarebbe stato opportuno rinviare tutti gli incontri a domenica ma si sa: al cuor si comanda alle esclusive televisive, no.

Fatto sta che il Circo Pallonaro va ad incominciare: “Verghino signori, verghino. Avanti c’è posto. Se so’ arrubbat’ ‘o pallone ma abbiamo fatto una colletta e lo abbiamo ricomprato!”.

Bel calcio a tutti.

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