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Krol: “Voglio tornare in Italia. Napoli nel cuore, vi dico la mia su Fabian”

Krol

Ruud Krol, ex leggenda del calcio olandese e del Napoli, ha parlato in un’intervista al Corriere dello Sport dal suo isolamento a Marbella.

 

 

“Partiamo dai miei settant’anni, festeggiati a Napoli, con tanto di celebrazione ufficiale. O dal mio prossimo viaggio, quello che avevo prenotato due mesi fa per essere di nuovo in Italia, perché volevo girare ancora questo Paese meraviglioso e incontrare Luciano Castellini. Avevamo già stabilito l’appuntamento. E la prima cosa che farò, non appena sarà tutto normale, sarà tornare in Italia.

E’ una tristezza vedere le strade vuote, le attività ferme, la gente comprensibilmente piena di paura. A Marbella? Tutto chiuso anche qui, però ieri qualcosa ha ricominciato a funzionare. Si esce per andare al supermercato, poi basta. E non c’è vita intorno, neanche alla tv.

Raiola olandese più influente di sempre? Non so chi abbia votato in questo sondaggio, né quanti e di quale generazione: ma c’è chi non ha memoria e non conosce il passato, un’assenza culturale che mi immalinconisce. Penso che Raiola abbia avuto modo di incidere adesso, nel suo settore, ma la Storia, quella con la maiuscola, appartiene a Rinus Michels e a Johan Cruyff.

Michels ha cambiato il calcio. E’ un padre del calcio moderno che ha cinquant’anni e non è mai invecchiato. Quella Nazionale è andata oltre, ha caratterizzato non solo quel momento, ma le stagioni successive. E se siamo ancora qui a parlarne vorrà pur significare qualcosa. La mia classifica? L’Ajax di Michels, il Barcellona di Guardiola e il Milan di Sacchi. Hanno in comune la straordinaria eleganza nel palleggio, la qualità elevata del loro calcio.

L’ultima partita che ho visto è stata Juve-Inter, in tv chiaramente. Guardo la Serie A, la Spagna e la Premier League. Il calcio mi manca ma so che bene che bisogna andarci cauti. Leggo di ipotesi di partite a porte chiuse e impallidisco: io ne ho vissute e quello non è calcio. Devi sentire la gente, devi trasmettere emozioni. Il football è dei tifosi, ovunque, è per loro.

Io lascerei che ci venisse suggerito da chi ne sa più di noi gli scienziati. Ma non sarebbe giusto buttar via un campionato con centro i sacrifici degli atleti ma anche delle società. Prima si concluda la stagione in corso, anche a dicembre. Poi si pensa a quella successiva. Come finirebbero i campionati? Facile in Inghilterra, il Liverpool è già campione in carica e dovrebbe potersi gustare questo successo. Difficile in Spagna e Italia: senza pandemia lo scudetto sarebbe andato alla Lazio. Mi divertiva guardarla, tanto, come l’Atalanta.

De Ligt mio erede? Non è mai semplice, neanche a vent’anni, cambiare abitudini. E in Italia è più difficile. Però stava facendo meglio, mi stava piacendo e sono convinto che abbia enormi qualità e margini di miglioramento notevolissimi. Solo che a volte mi sono chiesto perché mai Sarri lo facesse giocare a sinistra, nei due centrali della difesa. Lui con l’Ajax ha sempre giocato a destra.

Un giovane che mi piace? Fabian Ruiz del Napoli, ma va portato alle spalle degli attaccanti e messo in condizione di calciare dalla distanza. Ha il gol nel piede. Vede la porta. E’ un po’ lento, ma può snellire il suo modo di giocare.

A Napoli sono stato benissimo da calciatore e anche ora ho tantissimi amici, con i quali mi sento spesso per essere informato sulla città, su come stia vivendo questo periodaccio. Sono stato un uomo fortunato, ho avuto la possibilità di conoscere tanta bella gente, che mi fa sentire il proprio affetto in maniera impressionante. Un popolo meraviglioso che non ha dimenticato i nostri anni assieme.

Il 1980, l’anno del terremoto, un momento tristissimo per quella terra, la Campania. E anche allora il calcio però ebbe una propria funzione. Il calcio aiuterà ad uscirne, non dico a dimenticare ma a superare la frustrazione ed il terrore. Il calcio ha una sua funzione sociale e anche psicologica, è una passione collettiva”.

 

 

L’intervista completa, sulle pagine del Corriere dello Sport.

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