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La UEFA celebra Maradona ricordando l’intervista a Kapadia, regista del Docufilm

Maradona

La UEFA ha ripubblicato l’intervista ad Asif Kapdia, regista del Docufilm su Maradona, per celebrare la memoria del Pibe.

Un’intervista rilasciata ad ottobre 2019, come specifica la stessa Uefa. A seguire le parole di Kapadia, che è stato il regista del Docufilm su Diego.

Diego è un personaggio con cui sono cresciuto. Mi ricordo di lui nell’82 ma anche nell’86 con la storica partita contro l’Inghilterra. In questo film ho voluto raccontare il Maradona calciatore di club ma anche cosa era il calcio all’epoca. Era un calcio totalmente differente, basti pensare alle scivolate e ai contrasti durissimi che si vedevano con normalità in campo. 

La storia più grande è stata quella col Napoli. A quel tempo era il miglior calciatore del mondo. Era intoccabile. Ha vinto i Mondiali e poi ha vinto il campionato italiano con una squadra che non aveva mai vinto prima e che da allora non ha più vinto. Credo che sia stato il primo ad avere un evento del genere al suo arrivo in una nuova squadra. C’erano 80.000 persone ad accoglierlo.

Ora i giocatori non lo farebbero mai, ma Maradona è andato nel club più povero e nel giro di tre anni ha vinto il campionato più difficile che ci sia mai stato. Quando si pensa a Diego Maradona, l’idea è di una persona forte in grado di stravolgere gli eventi e che dice cose scomode. Nel mio film invece vediamo l’evoluzione del giovane Diego dal suo arrivo dal Barcellona. Lo guardo e riesco a intravedere ancora un bambino.

Maradona aveva sicuramente i suoi problemi fuori dal campo, ma in campo era amato dai compagni. È sempre stato molto disponibile, ha sempre fatto giocare meglio tutti. La cosa interessante è che per carattere aveva un ego enorme, ma in campo era un tipo da squadra, non girava tutto intorno a lui. Si sentiva molto più a suo agio nella città di Napoli. A Napoli avevano bisogno di un eroe, di qualcuno che gli somigliasse, che parlasse come lui, che si comportasse come lui. 

Lui aveva bisogno di un posto che lo amasse, che lo rispettasse, che lo lasciasse giocare – ma che poi lo lasciasse in pace, che non gli dicesse cosa fare fuori dal campo. Con Napoli c’era una sinergia perfetta.

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