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Le Foche: “Seconda ondata? Non si può prevedere con certezza. Il virus deve avere il tempo di rialzare la testa”

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Spiega Francesco Le Foche, responsabile del day hospital di immunoinfettivologia al policlinico universitario Umberto I di Roma.

Arriverà la seconda ondata dell’epidemia?
«Non si può prevedere con certezza. Abbiamo a che fare con un virus nuovo, che ha un comportamento sorprendente»

Potrebbe accadere in autunno, come ipotizza Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità?
«Sposterei l’arrivo di una possibile seconda ondata più in là, a dicembre, col freddo. Il virus deve avere il tempo di rialzare la testa dopo essere stato fermato dal lockdown. A luglio verosimilmente la circolazione sarà ancora più ridotta di adesso. Non credo che a settembre-ottobre l’epidemia sarebbe già in grado di riprendersi proprio per il limitato spazio temporale».

Il ritorno sarebbe feroce come la prima fase?
«Non credo che torneremo a vivere un’esperienza tanto tragica. Penso più a un’ondata paragonabile a quella prodotta da una forte influenza che è una malattia seria, non dimentichiamolo, con complicanze importanti ed esiti mortali. Abbiamo avuto epidemie influenzali caratterizzate da una letalità simile a quella da Covid».

Il servizio sanitario è pronto a fronteggiare una nuova emergenza?
«Sì che lo è. La capacità di intercettare i focolai sul territorio è enormemente migliorata. La chiave del successo è evitare che i pazienti infetti arrivino in ospedale e dunque creare percorsi di cura alternativi, strategia che è stata applicata. Non ci possiamo più permettere di privare i malati di cancro, cuore e patologie gravi dei controlli e delle cure come è successo in questi 3 mesi. Non devono essere messi all’angolo».

Il virus si è attenuato?
“A giudicare dai sequenziamenti del genoma non è cambiato. Però troviamo sindromi meno aggressive. I nuovi pazienti stanno abbastanza bene tanto che si potrebbe pensare a una nuova espressione di malattia da chiamare Covid like, simil-Covid. Sintomi lievi, febbriciattola che non se ne va per giorni, ma il tampone resta negativo in quanto la carica virale è bassa e la positività non viene rilevata».

Come si spiega?
«Il virus può aver trovato la coabitazione con la cellula umana che ha infettato. Una convivenza pacifica che si è instaurata col lockdown. Il suo interesse ora è diventato quello di non uccidere l’ospite, perché deve sopravvivere e non ha interesse a ucciderlo».

Il Sars-CoV-2 costringerà a rivedere i testi di medicina?
«Sì, è un virus strano, diverso. Noi immunologi sapevamo che solitamente un virus quando entra nell’organismo induce la produzione di anticorpi IgM (immunoglobuline) e poi di anticorpi IgG. Era una regola fissa. Invece adesso vediamo comparire le IgM senza che poi siano seguite dalle IgG. Oppure le IgM arrivano tardi, alla terza settimana dall’avvio dell’infezione, anziché subito dopo il contatto con l’agente estraneo. Prima era scontato che le IgM corrispondessero alla fase acuta della malattia e che le IgG indicassero un’infezione pregressa. Sappiamo per certo però che i pazienti gravi, ricoverati in terapia intensiva, sviluppano IgG che sono neutralizzanti, protettive».

E allora hanno un senso i test sierologici rapidi, che rilevano appunto la presenza dei due tipi di anticorpi e che alcune Regioni intendono proporre come patentino di accesso?
«Siamo sicuri che questo virus lascia una traccia ma non sappiamo come interpretarla. Quindi non ci sono i presupposti per parlare di patenti di immunità».

Come difendersi, allora?
«Sta a noi renderci immuni rispettando le regole di distanziamento interumano e di igiene e indossando le mascherine. Sono contrario ai guanti, veicoli di sporcizia».

Fino a quando dovremo mantenere le distanze?
“La vita è cambiata per sempre. Non sono più proponibili resse al ristorante, slalom tra i lettini sulla spiaggia e la calca in autobus. Comportamenti contrari alla salute pubblica. La promiscuità è da dimenticare per sempre. Ora valgono i sani principi di educazione civica».

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