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Versus: Insigne-Cannavaro, due facce di una medaglia azzurra

Il secondo numero di “Versus” è dedicato a Lorenzo Insigne e Paolo Cannavaro. Due simboli azzurri dalle tante similitudini, ma dal diverso destino.

 

 

Nemo propheta in patria. Nessuno è profeta nella sua patria, se poi questa patria è Napoli allora le cose si fanno ancora più difficili. E durante Napoli-Sassuolo in campo al San Paolo ci saranno due giocatori che conoscono perfettamente il significato di queste parole. Non solo, ma sanno anche come sovvertire questo detto, questa regola, per diventare idoli della propria tifoseria dopo essere passati nell’inferno del pregiudizio. Lorenzo Insigne da una parte, Paolo Cannavaro dall’altra, due simboli di due Napoli diversi, il primo della squadra che sta facendo innamorare mezzo mondo, il secondo di quella che è risorta dalle ceneri e ha impiantato il germe di un processo che è ancora in continua evoluzione. I due sono come le due facce di una medaglia o di una moneta, così simili eppure così diversi, a partire dal ruolo, fino al destino che li vede uno ancora in maglia azzurra, l’altro in neroverde. Ma le similitudini stanno nel loro vissuto da napoletani del Napoli, nell’aver aspettato di tornare in maglia azzurra dopo prestiti o cessioni, della gioia delle vittorie con la maglia dei propri sogni, così come nei fischi di un pubblico pretenzioso e severo.

IL CAPITANO DELLA RINASCITA – Cannavaro ha fatto tutte le trafile nelle giovanili del Napoli, esordendo nella difesa azzurra a 17 anni nella stagione 1998/99. Due presenze, prima della cessione al Parma. Era un Napoli bisognoso di fare cassa, in piena crisi e prossimo al fallimento che l’ha portato negli abissi della Serie C. Da Parma a Verona (seguendo Malesani), poi di nuovo a Parma, dove Prandelli non stravede per lui (succederà anni dopo anche in Nazionale), finchè non si presenta l’occasione di una vita: tornare a vestire la maglia azzurra. Nel 2006/07 Paolo giocava in Serie A, ma non ha avuto esitazioni alla chiamata del Napoli e fa il suo esordio in Serie B. “Voglio essere per il Napoli quello che Totti è per la Roma, una bandiera”, queste le sue parole, quelle di un figlio di Napoli, del primo tifoso della squadra per cui gioca e per cui dà tutto, vincendo il suo primo trofeo in carriera, la Coppa Italia del 2012 contro la Juventus, da capitano.

La promozione in Serie A, l’essere classificato (e ritenuto) uno tra i migliori difensori della massima serie, la vittoria di un trofeo che il Napoli non vinceva da 25 anni, tutto ciò non è bastato perchè Paolo riuscisse nel suo sogno: diventare la bandiera del club della sua città. Nel 2014, con l’arrivo di Benitez in panchina, Cannavaro lascia il Napoli e si trasferisce al Sassuolo, dove esordisce da capitano. Paolo ha dovuto passare attraverso molte difficoltà, prima tra tutte, un cognome che gli è costato per troppi anni la nomea di “il fratello di”. Poi i fischi e le pretese di un pubblico che non è mai generoso con i figli della propria terra (dopo un Napoli-Torino nel 2008/09, scrisse anche una lettera indirizzata proprio ai tifosi che lo fischiarono pesantemente). Ma resta il protagonista assoluto, il capitano della rinascita azzurra che ha portato il Napoli dalla Serie B all’Europa.

IL “MAGNIFICO” SCUGNIZZO – Lorenzo aveva 7 anni quando Cannavaro esordì con la maglia azzurra ed era appena iniziato il suo percorso nel 2006, quando il Napoli lo prelevò dall’Olimpia Sant’Arpino (appena 15enne), mentre Paolo tornava in azzurro. L’esordio (ed unica presenza) contro il Livorno nel 2009, per poi finire in prestito alla Cavese. L’incontro che gli cambierà la carriera sarà quello con Zeman, che lo avrà prima a Foggia, poi a Pescara (rispettivamente in Lega Pro e Serie B) e con cui vincerà il campionato cadetto, vincerà il premio di miglior giocatore del torneo e si attirerà finalmente le attenzioni della casa-base. Il Napoli l’anno dopo se lo tiene stretto e continuerà negli anni successivi in cui Lorenzo ha una crescita esponenziale. Ma, come detto in precedenza, “nemo propheta in patria” e così anche Insigne, come Cannavaro prima di lui, sarà il bersaglio preferito dei fischi dei tifosi quando le cose non vanno bene.

Ma la corsa di Insigne non si ferma, continua ad aumentare in velocità e bellezza, si riprende gli applausi e l’affetto dei tifosi a suon di gol, assist e prestazioni. Nel 2014 diventa il secondo giocatore italiano (assieme ad un altro napoletano, guarda un po’, Antonio Di Natale) a segnare in Serie A, Coppa Italia, Champions League ed Europa League nella stessa stagione. Nello stesso anno, contro la Lazio, scende per la prima volta in campo con la fascia di capitano al braccio e vince, contro la Fiorentina, la sua prima Coppa Italia in azzurro segnando una doppietta. Oggi, con un altro maestro, Sarri, Insigne è il faro offensivo della squadra della sua città ed è lui (a differenza di Cannavaro) ad avere un fratello che dovrà fare i conti con il suo cognome.

Due facce della stessa medaglia, una medaglia azzurra, che ha visto Cannavaro ed Insigne passare per strade simili, parallele se vogliamo, fino ad un bivio che li ha portati in maniera definitiva in direzioni opposte. L’esordio con il Napoli, poi la migrazione, uno ceduto, l’altro in prestito. Il ritorno a casa, il voler essere bandiera della squadra della propria città, il sentirsi addosso fischi immeritati ed il doversi riprendere. Le vittorie, le sconfitte, i primi trofei della carriera e la fascia di capitano. Poi per Paolo le cose sono andate diversamente, una nuova città, una nuova casa, una nuova squadra e siamo sicuri che, come già successo, il vecchio capitano, simbolo della rinascita del Napoli, sarà accolto da un grande applauso e con tutto l’amore di cui è capace il San Paolo. Lo stesso di cui oggi gode Insigne, simbolo del presente e, si spera, del futuro azzurro.

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