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Versus: Sarri-Spalletti, gemelli diversi dalla provincia al tetto d’Italia

Per il primo “numero” della nuova rubrica di 100×100 Napoli dedicata ai “duelli”, non potevamo non scegliere i due allenatori di Napoli ed Inter.

 

 

Velocità nelle transizioni offensive, sviluppo del gioco sulle fasce per favorire gli inserimenti dei centrocampisti, pressing a tutto campo con reparti corti per aiutare la rottura e seguente costruzione di gioco, movimenti collettivi di squadra e fraseggio ad uno, due tocchi nello stretto. Vi suona familiare questo tipo di gioco? E sapete di chi stiamo parlando? Sarri? Sì. Spalletti? Anche. Perchè è così, Napoli ed Inter questa sera si affronteranno in una sfida che non vale solo il primo posto in Serie A, ma che rappresenta lo scontro tra due allenatori che hanno più punti in comune di quante siano le differenze. Uno in giacca e cravatta, l’altro in tuta, uno con momenti di sana filosofia, l’altro con un vocabolario schietto e senza filtri. Partiti dalla provincia, dalla stessa provincia, quella di Empoli, Luciano Spalletti e Maurizio Sarri sono due espressioni tipiche del gioco “toscano”: senza remore o paure, offensivo, organizzato, rapido, ma soprattutto bello.

IL “LORD” FIORENTINO – E sì, qualcuno potrebbe pensare: “ma quest’Inter non è che giochi così bene”, ed è corretto, almeno in parte, seppur soggettivamente. Ma facciamo un passo indietro (magari anche un paio) e partiamo proprio dalla radice che unisce il tecnico di Certaldo a quello di Figline: Empoli. Da lì ha iniziato Spalletti la sua carriera di allenatore, nel solco che ha unito tutti gli allenatori della squadra toscana, quello tracciato negli anni ’70 da Renzo Ulivieri. Dal ’94 al ’98 Spalletti portò l’Empoli dalla Serie C alla Serie A, salvandola nella massima serie e mostrando un gioco spregiudicato ed offensivo che portò i biancazzurri al 12° posto. Tatticamente parlando, il suo 3-4-2-1 non era molto diverso dal 4-3-3 di stampo Sarriano: costruzione dal basso, scambi rapidi, difesa che passa a 4 con gli esterni che si allargano a proporre gioco e tagliare verso il centro.

Dopo varie peregrinazioni, arriva alla Roma, dove passa al 4-2-3-1 e fa innamorare tutta Italia (e mezza Europa) del suo gioco veloce ed offensivo. Non sarà un caso che solo una volta in una permanenza che ha portato a 2 Coppe Italia ed una Supercoppa, la Roma sia scesa solo una volta sotto i 70 gol fatti. Ora è all’Inter, dove la fortuna lo sta assistendo (8 pali a salvare la porta nerazzurra in 8 partite, record europeo) ma dove ha ripreso da dove aveva lasciato prima di partire per la Campagna di Russia. E non è un caso che i giocatori stiano rendendo così tanto, in particolare Perisic e Candreva oltre che al solito Icardi, in un modulo e con un allenatore che ha sempre fatto degli esterni e delle loro proposizioni il fulcro della propria manovra offensiva.

IL “COMANDANTE” SENZA PAURA – “Se Sarri avesse continuato a lavorare in banca, oggi sarebbe Ministro dell’Economia”. Una battuta di Spalletti ieri in conferenza stampa. Due dati escono come vapore da una pentola lasciata per troppo tempo sul fuoco. Il primo è un rispetto di fondo che lega i due vicendevolmente, se è vero che un Sarri ancora allenatore dell’Empoli, rispondendo ad una domanda sulla somiglianza tra il suo gioco e quello di Spalletti rispose: “Può darsi, nel mio gioco c’è anche il riassunto degli allenatori che stimo”. Dato reso ancora più intrigante da un aneddoto che ha il sapore della leggenda, che vuole i due allenatori al crocevia delle loro carriere (2014, Spalletti aveva appena concluso il suo rapporto con lo Zenit, Sarri era approdato in Serie A con l’Empoli), seduti a pranzo in un agriturismo a Montaione, per volere dell’allenatore dell’Inter, affascinato dal gioco di Sarri.

Il secondo dato è quello che caratterizza il modus operandi di Sarri: organizzazione di base, cura minima dei dettagli, rapidità di pensiero e di esecuzione. Questi i parametri che avrebbero fatto di Sarri Primo Giudice della Corte Suprema, Presidente di un impero finanziario oppure, sì, Ministro dell’Economia. Ha preferito essere il Comandante di una Rivoluzione, non con un fucile in mano, ma con un taccuino su cui segnare continuamente le migliorie da apportare al suo gioco, alla sua squadra. Il bello al potere in un mondo, quello del calcio, che per troppo tempo si è lasciato abbindolare dall’idea che non fosse compatibile con la concretezza, con i risultati: “è bella ma nun abballa”, si dice a Napoli. E invece Maurizio ha portato prima l’Empoli sui rotocalchi nazionali, poi il Napoli in Europa a prendersi gli attestati di stima e di ammirazione di persone come Guardiola che, un minimo, di estetistmo abbinato a concretezza in questo gioco ne sanno qualcosa.

Il fraseggio nello stretto come manifesto esistenziale: Spalletti e Sarri non hanno paura di mostrare da dove arrivano, da dove sono partiti, qual’è il “solco” di cui sopra da cui tutto è cominciato e che ha segnato il loro modo di allenare e di far giocare le loro squadre. Due allenatori diversi, il primo con la giacca e la cravatta, il secondo in tuta. Due squadre diverse, una che il suo gioco sta iniziando a capirlo, l’altra che ha già fatto innamorare tutto il mondo del pallone. Sì, tante diversità, ma una radice comune che rende tutto anche, incredibilmente, meravigliosamente simile.

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