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Allan, instancabile cuore azzurro alla conquista del Brasile

Allan

Allan, dopo una rincorsa durata 27 anni di sudore, grinta e orgoglio, ha finalmente coronato il suo sogno di vestire la maglia del Brasile.

 

 

Ci sono cose che non accadono per caso. Cose per cui devi sudare, allenarti, assorbire delusioni come lividi che restano sul tuo corpo e che spariscono solo se continui ad ignorarli, a fare finta che non esistono. No, alcune cose non accadono per caso. A volte devi metterci tutto te stesso per tutta una vita, sperando, un giorno, che quel tuo sogno, la cosa che vuoi di più al mondo, si realizzi.

E’ il 16 novembre 2018, il Brasile sta pareggiando 0-0 in un’amichevole con l’Uruguay. Tite controlla la sua panchina, è già iniziato il secondo tempo e ha bisogno di una mossa per cercare di battere gli eterni rivali. Allan è lì, probabilmente tenendo a freno ogni lembo del suo corpo per evitare di far trasparire la più piccola tensione. Tite lo chiama, va a scaldarsi, al 59′ entra in campo. Il Brasile vince grazie ad un rigore trasformato da Neymar, un rigore conquistato grazie ad un’azione che ha visto anche il suo contributo. Festeggiano i verdeoro, festeggia Allan. Sì, sicuramente anche per la vittoria, ma soprattutto la gioia è per aver coronato il suo sogno più grande, un sogno atteso per ben 27 anni: giocare la sua prima partita ufficiale con la maglia del Brasile. Sono passati quattro giorni da quella sera ed Allan, oggi, si sta preparando, perché tra poche ore scenderà in campo, da titolare, contro il Camerun.

Ventisette anni, che scritto a lettere fa quasi più impressione. Tanto ci è voluto. Sette anni dall’ultima volta, quella della vittoria del Mondiale Under 20 in Colombia. Una carriera intera ad aspettare che il Brasile si accorgesse di lui. E, nel frattempo, il cuore di Allan ha continuato a battere, alimentando gambe che sono diventate mistero della fisica nel loro moto perpetuo, polmoni che si sono moltiplicati per consentirgli di andare oltre ogni limite, per permettergli di correre ancora, ancora e ancora, fino a raggiungere il suo sogno, la Nazionale maggiore. Nel frattempo Allan Marques Lourerio ha fatto tanta strada, tanta quanta ce n’è da Rio de Janeiro a Napoli e, come se avesse affrontato a nuoto l’Oceano, si è forgiato in modo da resistere ad ogni ammaccatura. Del tempo, della storia, di un paese che l’ha calcisticamente ignorato nonostante bruciature scottanti, drammi sportivi, finché non è stato inevitabile. Ti accorgi di quello che hai solo nel momento in cui lo perdi, disse una volta qualcuno. E Tite, evidentemente, non ha voluto correre il rischio, così, quando l’Italia di Mancini ha cominciato a farci un pensierino, finalmente Allan ha potuto coronare il suo sogno.

“Una bella sorpresa l’ha definito il CT del Brasile. Non lo è certo per noi, abituati a guardarlo sgroppare per oltre 90 minuti a partita sui campi di tutta la Serie A e, finalmente, anche sui palcoscenici più importanti d’Europa. Una crescita costante, iniziata nel Vasco da Gama, nell’anno drammatico della Serie B. Ammonizioni, espulsioni, i primi fischi. L’abbiamo detto no? Continuare a correre, diventare più forte di tutto, anche delle difficoltà. E così ha fatto Allan, sfruttando una tempra morale che fa di lui un genio dell’impegno. Lo vince quel campionato di Serie B (2009) e vincerà con il “Gigante da Colina” anche una Coppa del Brasile (2011) prima di fare armi e bagagli e partire per l’Italia, destinazione Udine, dove Guidolin intuisce quelle che sono qualità espresse solo in potenza. Con Guidolin prima, con Stramaccioni poi, Allan impressiona ed evolve, mostrandosi uno dei migliori mediani di rottura del campionato e sfruttando le sue qualità da giocatore di futsal nello stretto, mostrandosi utile su tutti e due i fronti del campo. Poi arriva Napoli e la consacrazione definitiva.

Sarri e Ancelotti ne fanno un fenomeno, perché è inutile cercare di dire il contrario. Allan è un fenomeno, in tutti i sensi della parola: fatto, evento suscettibile di osservazione, in quanto la sua capacità di essere instancabile e letteralmente ovunque dovrebbe essere materia di studio; oggetto di meraviglia e ammirazione perché la sua crescita tattica e tecnica è stata esponenziale. Oggi Allan è un giocatore completo, assolutamente tra i migliori nel suo ruolo, ha corsa, tecnica, coscienza perfetta di quello che deve fare. Non è più solo un frangiflutti, Allan studia la partita, la legge, sembra sapere sempre in anticipo cosa faranno gli avversari trasformando la fase difensiva in una questione di sensibilità. Sentire la partita, anche dal punto di vista emotivo, entrando con il suo scanner dentro la testa dei giocatori, spaventandoli addirittura se, e pare abbastanza vero, spesso ne basta la sola presenza per vedere gli avversari sbagliare controlli o passaggi fino a perdere il pallone che, a quel punto, viene attratto dal brasiliano come una calamita ad un magnete. E a quel punto, mostra anche la sua crescita tecnica, partendo in progressione, difendendo il pallone, dialogando con i compagni d’attacco come se parlasse (e la parla eccome) la stessa lingua. Oggi Allan è un elemento insostituibile di un ecosistema che, senza di lui, non sa più come registrarsi.

Orgoglio, passione, grinta, solo pochi aggettivi di un uomo che si è sudato ogni centimetro di campo conquistato, graffiando il prato con le unghie e con i denti per non perdere nemmeno una piccola porzione. Per dirla con le parole del grande Andrea Pazienza, “Mai tornare indietro, nemmeno per prendere la rincorsa”, andare avanti, sempre, con le proprie convinzioni per vedere realizzati i propri sogni. Per convincere un paese lontano che si è mostrato indifferente per troppo tempo, che ha scelto alla guida del proprio destino un presidente un ex militare di estrema destra, dichiaratamente figlio della dittatura militare e le cui dichiarazioni omofobe (“Preferisco avere un figlio morto che gay”), razziste e maschiliste (pro aborto, ha chiesto per le donne uno stipendio più basso rispetto agli uomini) non gli hanno negato l’appoggio di tanti calciatori ed ex calciatori.

Un paese lontano, appunto, anche da quello che Allan rappresenta per il mondo dello Sport, ma sempre presente nel suo cuore, quel cuore che ora batte d’azzurro in una città che lo ama e che lui ama a sua volta. Quel cuore che, adesso, finalmente, può vestire, accudire, scaldare con la maglia verdeoro del suo Brasile.

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