Editoriale

Il calcio è egoista narcisista ma anche fatto della stessa materia dei sogni, come la Maglia.

Il calcio è uno sport fondamentalmente egoista.
Le società, sono aziende, come non si manca mai di precisare, e perseguono i propri interessi.

I calciatori, e questo, è un refrain più recente ma, già, molto usato, sono ditte individuali e perseguono i propri interessi.

Gli allenatori sono, per definizione, uomini soli e perseguono i propri interessi.

Elementi diversi, ognuno con i propri obiettivi che si trovano insieme a costituire una sorta di ATI (associazione temporanea di impresa).

A questo punto, per avere un risultato ottimale, bisognerebbe far coincidere, gli interessi individuali con quello collettivo.

Poi, ci sono i tifosi.

I tifosi, perseguono uno scopo comune e unico: vincere, sempre e ovunque.

Non è possibile, allora, ripiegano sulla Maglia dalla quale si aspettano sempre il massimo. La maglia è un’entità astratta, quasi transdimensionale. Assume le sembianze di tutti quelli che la indossano ma rappresenta, anche, la squadra nel suo complesso e, soprattutto, vive di vita propria.

Però, la Maglia è anche espressione della società, è indossata dai calciatori ed è messa in campo dal mister.

Quando le cose non vanno di chi è la responsabilità? E quando, invece, ti gira bene di chi i meriti?

Nessuno ha la risposta: Perché colpe e meriti sono di tutti. Delle aziende singole e dell’ ATI che hanno costituito.

Si salva solo la Maglia.
I tifosi, che vengono, genericamente, definiti ‘Ambiente’ sono strattonati da una parte e dall’altra. Chiamati in aiuto, destinatari di promesse di amore eterno(meno credibili di una nevicata ad agosto)come l’idea che tutto si faccia per loro. Infine, additati a correi, perché non abbastanza bravi a capire, sopportare, amare in silenzio e dire sempre grazie, a prescindere.

Quelle sono le mamme, non i tifosi, e neanche sempre. Ma, l’abbiamo detto, il calcio è egoista e, pure, narcisista.

Vuole essere amato, tanto, criticato, poco, e, soprattutto, fare i propri, interessi.

In fondo, le carriere sono brevi, i risultati imprevedibili e volatili, troppe le variabili incontrollabili e c’è tanta concorrenza.

Anche le scuse e i buoni propositi diventano istituzionali:
“La prossima partita ci rifaremo”
“Pensiamo già alla prossima”
“Ci dispiace per i tifosi”

Il campionario è variegato, anche se monotono. A volte c’è un sussulto, come sabato sera, quando Mertens, il più grande goleador della storia del Napoli (mica uno qualsiasi) ammette che questa stagione è stata la più grande delusione della sua carriera, provocando il disappunto del suo allenatore. Soddisfatto, per aver raggiunto un risultato, prestigiosissimo, fondamentale per l’azienda per la quale lavora, per la sua individuale e per l’ATI.

Il fatto è che, come ha, peraltro, ripetuto più volte, lo stesso Spalletti, il calcio è fatto di occasioni che bisogna saper cogliere. Se non provi a raggiungerle, con tutta la forza che hai e anche di più, hai, ideologicamente, fallito, al di là della classifica.

Perché il calcio, egoista, narcisista e vitellone è anche fatto della stessa materia dei sogni.

Come la Maglia.

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