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Mattino – Cantone: “Il tifo napoletano è maturato tanto in questi anni anche imparando a non raccogliere provocazioni come quando oggetto di cori di discriminazione”

Raffaele Cantone, capo della Procura di Perugia, si è spesso occupato del calcio malato e di tifo violento anche in un libro, “Football Clan”.

«L’episodio degli scontri tra ultras della Roma e del Napoli è particolarmente grave e va stigmatizzato con forza e durezza, eppure a mio avviso parliamo di numeri che non sono rappresentativi del tifo napoletano che, anzi, nell’ultimo periodo aveva dimostrato grande maturità. È soprattutto nel tifo organizzato che c’è tifo violento, ma sono logiche che nascono da faide di singoli gruppi, assomigliano di più a faide tra gruppi criminali che, purtroppo rischiano di danneggiare la città».

Il tifo violento è purtroppo ancora radicato non solo a Napoli, ma quasi in ogni città italiana. Non crede che ci sia una sorta di “perdonismo” nei confronti di queste violenze anche da parte dei settori sani del tifo e della società?
«Non ho questa sensazione, anzi mi sembra che il tifo napoletano sia maturato tanto in questi anni anche imparando a non raccogliere provocazioni come quando sono fatti oggetto di cori di discriminazione».

Il mondo del calcio ha invece gli anticorpi necessari per mettersi contro quel mondo ultras che in alcuni casi si manifesta anche con la violenza?
«Guardi, proprio il Napoli di De Laurentiis può essere preso come un esempio virtuoso in questo senso. La società ha fatto tanto in questi anni provando a tenere al riparo il club da certi mondi anche allontanando i calciatori anche da rischi di contatti con personaggi vicini alla criminalità organizzata, ma anche accettando l’idea di mandare la squadra ad allenarsi lontano dalla città».

E le istituzioni fanno la loro parte?
«So che è complesso dirlo adesso, a caldo, subito dopo un episodio gravissimo come quello avvenuto sull’A1. Ma le istituzioni la lotta al tifo violento la fanno, questi episodi per fortuna sono marginali rispetto al passato. Questo non significa che non ci sono più, ma che assistiamo ad una drastica riduzione di risse tra tifoserie e violenze da stadio. Basti pensare che anche stavolta le due tifoserie si sono incontrate a centinaia di chilometri di distanza dai due rispettivi stadi proprio perché gli strumenti per intervenire ci sono, vanno solo utilizzati».

Non servono pene più aspre?
«Gli strumenti, ripeto, ci sono. Non serve cambiare ogni volta le regole sull’onda delle emergenze. I Daspo funzionano se poi ci sono controlli meticolosi, così come gli arresti differiti sono stati un ottimo modo per contrastare questo genere di reati. Abbiamo dei riscontri, il tifo non è più violento come prima e anche dal punto di vista culturale la situazione, anche se lentamente, sta migliorando».

Al di là delle violenze ci sono però anche i cori beceri contro i calciatori di colore e i meridionali. Non crede che se per questi episodi si comminano solo delle multe il concetto che passa è che il calcio sia una sorta di “zona franca” dove tutto è possibile?
«Credo che il meccanismo della responsabilità oggettiva non funzioni, anzi ci sono più casi documentati che proprio la responsabilità delle società di calcio possa essere utilizzato come leva di ricatto ai danni dei dirigenti dei club. Si sta verificando spesso negli stadi d’Italia che invece quando ci sono i cori contro i calciatori di colore il resto della tifoseria ne prenda le distanze. Avviene meno quando i cori sono contro i meridionali».

Bisogna intervenire?
«Sarebbe bello se sul punto intervenissero i sindaci e i presidenti delle città e delle società coinvolte per fare degli appelli comuni ai propri cittadini di evitare questo genere di comportamenti. Purtroppo queste prese di distanza le ricordo poco»

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