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De Zerbi: “Sono fuori di casa da quando avevo quindici anni e a 42 non sono ancora rientrato. Ne porto i segni”

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Al Corriere dello Sport si è raccontato Roberto De Zerbi allenatore dello Shakhtar, a proposito della sua infanzia e dei giocatori della nazionale che ha allenato.

Sono fuori di casa da quando avevo quindici anni e a 42 non sono ancora rientrato. Ne porto i segni. Ho dato e continuo a dare tutto me stesso al calcio e mi sono perso il resto. Il calcio procura vantaggi economici che pochi al tri lavori possono offrire, e grati ficazioni, notorietà, opportuni tà. Tutto si paga, però, e il prezzo è elevatissimo. La famiglia ne risente, e trascuri gli amici, hai preso strade diverse, di costante assenza, sei uscito dalla tua comunità. I’ho accettato prima ancora di volerlo. Per passione, la passione è il motore. Per que sto mi sta sui coglioni chi il pallone lo sfrutta.”

A chi ti riferisci, scusa?

“A quelli che lo vivono come un passatempo, un privilegio senza data di scadenza, un modo per campare bene, la macchina che produce soldi e garantisce visibilità. Non sopporto chi timbra il cartellino. Quando alleni, individui in un attimo chi è spinto dall’amore per il calcio e chi invece non ne ha, o non a sufficienza. Il successo inizia dalla passione per il proprio lavoro.

Anche Berardi è stato in qualche modo sorprendente.

La personalità, come si è imposto in Nazionale. Ragazzo d’oro, Domenico. Un introverso, silenzioso, chiuso, avrebbe potuto fare una carriera diversa, per le qualità che possiede, se soltanto l’a vesse voluto. A Roma durante gli Europei ha fatto benissimo e nella finale di Wembley è entrato dopo poco meno di un’ora, è andato per primo sul dischetto e ha dimostrato di avere il carattere del protagonista, quello che chiedo sempre ai miei. Mi batto per far capire che non è importante andare in Nazionale, importan te è farlo da protagonisti. Berardi mi ha sorpreso più di Loca.”

In che senso?

Locatelli ha una sensibilità non comune e una sana consapevo lezza di sé. E sottolineo sana. Non si tratta di presunzione, pos siede quel pizzico di narcisismo che serve, si sente il più forte di tutti e sa gestire bene questo aspetto. È di una maturità fuori dal comune. Il suo ingresso nella Juve è stato fin troppo naturale. Loca è malatodi calcio, farlo star fuori il martedì alla ripresa de gli allenamenti era impossibile. Voleva sempre lavorare. Quando dico che la differenza la fa la passione, lo porto a esempio. In Europa pochissimi giocano a un tocco come lui, prima di ricevere la palla sa già dove e a chi indi rizzarla. E poi in tre anni non gli ho mai visto perdere un contra sto. Quando lo chiamai per con vincerlo a venire a Sassuolo fis sammo insieme Europeo come obiettivo.”

Per l’articolo completo vi rimandiamo alla lettura sul Corriere dello Sport.

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