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Sette volte sette, l’ultimo ballo (forse) di José Callejon

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José Maria Callejon, dopo sette stagioni, potrebbe essere arrivato alla conclusione della sua avventura a Napoli. Ma l’ultima parola non è ancora scritta.

 

 

Chi viene a Napoli piange due volte: quando arriva e quando se ne va.

Chissà se José Maria Callejon ha pianto quel giorno del luglio del 2013, quando dal Real Madrid ha preso un volo ed è arrivato a Napoli. Questo potrà saperlo solo la sua compagna, Marta Ponsati Romero e lo lasciamo all’intimità delle loro mura domestiche. Mura che hanno visto José crescere con la maglia azzurra cucita addosso, sposarsi, diventare papà di India prima, di Arya poi. Mura che l’hanno visto tornare stanco, dopo partite o allenamenti fatti con Benitez, Sarri, Ancelotti, Gattuso. Chissà se quando è arrivato a Napoli ha pianto José, senza poter nemmeno immaginare cosa sarebbe successo da quel momento in avanti. Senza sapere.

Quello che sappiamo è che, sette anni dopo, ha pianto José.

Ha pianto di gioia, sicuramente, per aver alzato al cielo un trofeo, la Coppa Italia, così come aveva fatto già al suo primo anno in maglia azzurra (e con la Supercoppa Italiana l’anno successivo). Ha pianto, forse, perché sapeva che quello che si stava consumando davanti ai suoi occhi era un addio. Un doloroso addio. E così è rimasto solo, in disparte, mentre i compagni si stringevano nell’ansia dei calci di rigore. Ed è rimasto solo, in disparte, crollando in lacrime in ginocchio quando la gioia si è mischiata ai ricordi, alla prospettiva di non indossarla più quella maglia, di non vestire più quell’azzurro. Alla consapevolezza che la vita va avanti e a volte ci porta lontani da quello che amiamo.

Quello tra Napoli e Callejon è stato un rapporto disarmante nella sua normalità. Non è arrivato con proclami o con il favore della critica. In tanti hanno storto il naso pensando “e questo chi è?!”, probabilmente anche con un po’ di stizza nel vedere che gli sarebbe stata affidata “la 7” di Cavani. Un rapporto normale. Un inizio normale. Come tante storie d’amore che poi, alla fine, ti accorgi che ti ha segnato per sempre. Perché da quel momento in poi il sentimento è cresciuto e ci si è resi conto, improvvisamente, che non potevano più fare a meno l’una dell’altro.

Sette anni dopo, José Maria Callejon è una delle colonne portanti di una squadra che ha lottato per lo scudetto, che ha vinto tre trofei nazionali, che si è fatta conoscere e rispettare in Champions League. Ha visto passare quattro allenatori diversi, ha visto compagni ed amici indossare quella sua stessa maglia, onorarla, amarla e poi abbandonarla. Ma lui no. Lui è rimasto. Ed è rimasto come protagonista assoluto, indispensabile per ogni tecnico che l’ha visto giocare: 338 presenze (contando anche questa stagione ancora da concludere, una media di oltre 48 partite a stagione, quasi tutte da titolare), 88 gol, 77 assist, 29 ammonizioni, una sola espulsione e l’onore di vestire saltuariamente la fascia da capitano.

Ed ora, pare, tutto sta giungendo alla sua conclusione. Pare, perché forse non è tutto già scritto e quel pianto potrebbe aver portato, nella notte, consiglio. La situazione è la seguente: a Callejon scadrà il contratto il 30 giugno e sicuramente dovrà trattare il prolungamento, così come tanti altri suoi colleghi, fino ad agosto per finire la stagione. In occasione di questa circostanza, José sembra sperare ora come ora di trovare un’intesa per un rinnovo di contratto a condizioni vantaggiose (alla Mertens, per farla breve) che lo convincano definitivamente a restare.

Perché a volte hai solo bisogno di sentirlo dire da qualcun altro. Perché dopo sette anni e tutto l’amore che c’è stato, tutto l’amore che c’è, non vuoi davvero che tutto finisca.

E, quindi, diciamolo: José, grazie di tutto. Ora…resta.

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